La parola del Parroco - Don Maurizio Spreafico - 28 aprile 2024

Carissimi, in questa V Domenica di Pasqua, Gesù si presenta come la vera vite, invitandoci ad essere tralci fecondi innestati in Lui. Ci troviamo nel contesto del grande discorso di addio di Gesù, che comprende i capitoli 13-17 del vangelo di Giovanni: dopo il gesto assai significativo della lavanda dei piedi con l’insegnamento ad esso correlato, dopo l’annuncio del tradimento di Giuda e la sua uscita dal cenacolo, si svolge un lungo dialogo tra Gesù e gli apostoli, fino ad arrivare a questo brano, caratterizzato dalla relazione tra Gesù e i discepoli. Come fare perché il tralcio porti frutto? Come fare perché il discepolo abbia risultati concreti nella sua missione? La risposta è chiara: occorre innanzitutto vivere una profonda e stabile relazione con Gesù, occorre rimanere in Lui!

Per un ebreo la vite è una pianta familiare, che insieme al grano e all’olivo, caratterizza la terra di Israele. Se io vado e guardo una vigna abbandonata, ne sono rattristato: la vite non potata e non curata soffre, si aggroviglia su se stessa, si ammala, dà pochissimi acini aspri e perfino le foglie sbiadiscono. Ma se la vite è potata e curata, si presenta bella e rigogliosa, le foglie sono grandi e di un verde brillante, sta eretta e aperta a ricevere i raggi del sole, i grappoli sono gonfi di acini pieni di succo. 

L’allegoria della vite e della vigna è ricorrente nell’Antico Testamento, soprattutto per indicare la relazione di fedeltà e di premura da parte di Dio, anche di fronte all’infedeltà e al rifiuto del popolo. La vigna designa Israele in quanto popolo di Dio e ne sottolinea con forza l’appartenenza al Signore; da una parte c’è la cura di Dio, una cura assidua, amorevole e paziente, e dall’altra c’è una ostinata sterilità: Dio si aspetta buoni frutti e ne resta deluso (cf. Isaia 5,1-7). C’è però, nel Salmo 80, una voce di speranza, con una preghiera accorata e fiduciosa: “Dio degli eserciti, volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato”. L’affermazione di Gesù: “Io sono la vera vite”, sembra una risposta all’invocazione del salmista. Gesù, affermando di essere la “vera vite”, applica a se stesso l’immagine della vigna e afferma di essere lui il nuovo Israele, di cui il Padre celeste può ritenersi il vignaiolo soddisfatto. Gesù, dunque, considerato insieme ai tralci, è la vera e nuova vigna, è il nuovo popolo di Israele.

Gesù ci chiede di “rimanere in Lui” se vogliamo portare frutto. E per portare frutto occorre la potatura, talvolta dolorosa, ma necessaria. Se invece ci stacchiamo da lui, diventiamo tralci secchi, che non servono a nulla. “Senza di me non potete far nulla”: all’udire queste parole, i discepoli si saranno probabilmente ricordati dell’esperienza vissuta sul lago di Tiberiade, quando hanno pescato tutta la notte e non hanno preso nulla; ma, sulla parola di Gesù, gettano di nuovo la rete e la pesca è abbondante e miracolosa (cf. Lc 5,1-11)

Oggi Gesù dice a ciascuno di noi: “Ho bisogno che tu fiorisca, ho bisogno di grappoli buoni”. Per fare questo dobbiamo innanzitutto lasciarci alimentare dalla linfa vitale che è Lui. E questo avviene quando abbiamo cura del nostro rapporto con Lui, attraverso la preghiera, l’ascolto della sua parola, i sacramenti. Allora la nostra vita diventerà feconda e “non ameremo più soltanto a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (cf. Seconda Lettura). Preghiamo: “O Signore, senza di te non possiamo far nulla; resta con noi, rimani in noi e noi in te; fa che la grazia dell’incontro con te diventi sorgente di grazia per tutti coloro che incontriamo! O Vergine Maria, tu che hai accolto e custodito la Parola e hai portato frutto generando il Salvatore, intercedi per noi!”